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ZODIACO

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Daniele Marotta - Arianna Carlini

Un’antologia unica nel suo genere, composta da dodici avvincenti racconti fantasy scritti da Daniele Marotta, ispirati alle illustrazioni dei dodici segni dello zodiaco realizzate magistralmente da Arianna Carlini. Ogni racconto nasce come suggestione scaturita dall’osservazione delle immagini, trasformando la potenza visiva delle opere in storie avvolgenti ambientate in mondi lontani, dove mito e magia si intrecciano.

Le illustrazioni di Carlini, evocative e ricche di dettagli, diventano la scintilla creativa per ciascuna narrazione, offrendo ai lettori un’esperienza unica in cui arte e scrittura si fondono in un dialogo immaginifico.

Un'antologia per chi ama immergersi in leggende e atmosfere fantastiche, dove il potere simbolico di ogni segno zodiacale prende vita attraverso trame emozionanti e suggestioni visive straordinarie. Un viaggio imperdibile per esplorare l'incontro tra immaginazione e arte.

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Disponibilità:

"Lo Zodiaco" in versione cartacea attualmente è quasi esaurito puoi prenderlo tramite paypal scrivendo a inkdrosptudioart@gmail.com.

 

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Il figlio dell’Onda.

Il villaggio di Haleaka, nascosto tra le baie scintillanti e le scogliere selvagge, era governato da un re tanto austero quanto orgoglioso, Re Mahina, e dalla sua consorte, Regina Anuhea, entrambi fieri dei loro tre figli maggiori, forti e impetuosi. Il quarto figlio, Kaipo, era diverso. Nato ultimo, aveva sempre vissuto ai margini: piccolo e taciturno, preferiva osservare le onde e parlare con i gabbiani piuttosto che brandire una lancia o competere nelle prove di forza. Mentre i suoi fratelli si esercitavano a remare contro le correnti furiose, lui costruiva piccole imbarcazioni di conchiglie e legno di palma, sognando avventure che nessuno nel villaggio sembrava interessato a condividere.

Kaipo non era odiato, ma nemmeno amato. Nel suo villaggio, l’ultima posizione nella gerarchia equivaleva al nulla. Era una figura senza peso, come la risacca dopo una grande onda: necessaria, forse, ma facilmente ignorabile. Questo fino al giorno in cui il Grande Dio del Mare, Manakai, reclamò la sua Prova di Successione.

La Grande Prova

La Prova di Successione era un’antica tradizione: i figli del re dovevano affrontare il Mostro dell’Abisso, una creatura che abitava nel cuore dell’oceano, proteggendo il sigillo della sovranità del villaggio. Solo colui che riusciva a conquistare il sigillo sarebbe tornato come futuro sovrano. E così, i tre fratelli maggiori di Kaipo partirono, pieni di arroganza e coraggio. Kaipo fu lasciato indietro, come sempre.

Ma i giorni passarono. Poi le settimane. E infine i mesi. Nessuno dei fratelli tornò. Il re, angosciato ma troppo orgoglioso per mostrare dolore, radunò il villaggio e pronunciò il verdetto: “Abbiamo perso i nostri figli, ma non il nostro onore. Nessuno potrà dire che il sangue di Mahina si è piegato all’oceano.”

Fu allora che Kaipo si fece avanti. Non gridò, non supplicò. Si alzò semplicemente in piedi, con la sua piccola imbarcazione fatta di tronchi e vele di stoffa logora. “Io andrò,” disse. La folla rise. Anche il re scosse la testa. “Tu? L’ultimo? Credi davvero di poter fare ciò che i tuoi fratelli non hanno potuto?”

Kaipo non rispose. Non per mancanza di coraggio, ma perché sapeva che non c’era nulla da dire. E così, prese la sua barca, i suoi pensieri e i suoi sogni, e salpò verso l’orizzonte.

 

L’oceano era un regno vasto e misterioso, pieno di segreti e insidie. Le correnti ingannevoli lo trascinavano lontano, ma Kaipo non si lasciava sopraffare. Mentre remava, parlava con i venti, ascoltava il mormorio delle onde e osservava i gabbiani che lo guidavano. Ogni creatura del mare sembrava conoscere la sua presenza e, per la prima volta nella sua vita, Kaipo si sentì accolto. L’oceano, con le sue infinite profondità, era un riflesso del suo cuore: calmo in superficie, ma pieno di tesori nascosti.

Dopo settimane di navigazione, raggiunse il centro dell’abisso, dove l’acqua era così scura che sembrava notte eterna. Fu lì che lo trovò: il Mostro dell’Abisso. La creatura era immensa, un intreccio di coralli e scaglie, con occhi che brillavano come stelle riflesse. Ma non era violenta. Lo osservò in silenzio, e Kaipo, senza paura, scese dalla sua barca e si inginocchiò sulle onde come se fossero terraferma.

“Non sono qui per combatterti,” disse. “Sono qui per ascoltare.”

Il Mostro parlò con una voce profonda come il tuono. “I tuoi fratelli mi hanno sfidato con lance e arroganza. Tu vieni con mani vuote. Perché dovrei darti ciò che loro hanno cercato di prendere con la forza?”

Kaipo alzò lo sguardo, con la calma di chi non ha nulla da perdere. “Perché io non voglio il potere per me stesso. Lo voglio per il mio popolo, che ha perso troppo e ha bisogno di speranza.”

Il Mostro lo osservò a lungo, poi si tuffò nelle profondità. Quando riemerse, portava tra le fauci un trofeo. “Prendi questo è il carapace di Kohu Makai lo spirito del granchio delle maree. È il sigillo della successione. Non perché sei il più forte, ma perché sei il più degno. L’oceano non dimentica chi lo ama.”

 

Kaipo tornò al villaggio un anno dopo la sua partenza. Il popolo, che ormai aveva perso ogni speranza, rimase senza parole vedendolo arrivare con l’armatura di Kohu Makai e una calma che sembrava emanare dall’oceano stesso. Ma il silenzio si trasformò presto in mormorio. “Perché lui?” si chiedevano. “Perché l’ultimo, il più debole?”

Anche il re e la regina non riuscirono a nascondere il loro sgomento. I loro tre figli maggiori erano scomparsi per sempre, e ora il destino del villaggio era nelle mani di Kaipo, il figlio dimenticato.

Kaipo non disse nulla. Non rimproverò il villaggio, non chiese il loro amore o la loro approvazione. Non ne aveva bisogno. L’oceano gli aveva insegnato che non c’era forza più grande della pazienza, che il vero potere non risiede nel dominio, ma nella cura. “Non sono qui per essere amato,” disse infine al consiglio del villaggio. “Sono qui per servirvi. Il potere che porto non è mio, ma vostro. Spero che un giorno possiate accettarlo. Fino ad allora, farò ciò che è giusto.”

 

Col tempo, il popolo iniziò a comprendere il cuore di Kaipo. Non era un guerriero come i suoi fratelli, ma il villaggio prosperò sotto la sua guida. Ogni decisione che prendeva, ogni parola che pronunciava, era per il bene di tutti. Anche chi lo aveva disprezzato iniziò a rispettarlo, non per paura, ma per ammirazione.

Kaipo non cercò mai vendetta per il passato, né amore dove non c’era. Sapeva che la vera forza non stava nell’essere accettati, ma nell’accettare gli altri. Come il mare che accoglie ogni fiume, egli trovò il suo posto, non come l’ultimo figlio del re, ma come il primo re del suo popolo.

E così, Kaipo divenne leggenda, un sovrano che governa come il mare: profondo, paziente e infinito.

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